Mauro Lombardo

Introduzione al catalogo mostra personale

Armando Tantillo  -  Giardini Perduti

Gallera “La Vite” – Catania

21 maggio 1983

 

L'immagine riflessa sull'acqua svanisce  tremolante al lento movimento ed il ricordo si diluisce nel tempo; cosa rimane di ciò che prima toccavi? Grovigli di pensieri instabili e tumultuosi che non riescono a legarsi, oggetti vaganti in uno spazio vuoto senza forma e significato.

Cos'è la pittura se i colori non rivelano la  consistenza degli oggetti, cos'è un albero dipinto se non trasmette il fruscio delle foglie al passare leggero del vento, cos'è il volto dipinto di una fanciulla se non si riesce a leggere nello specchio verde smeraldo dei suoi occhi? Tantillo ha saputo modellare la natura sua antica maestra, con i luoghi primitivi che videro i passi della sua infanzia.

Un ambiente antico quanto il mondo, dove ogni pietra ricorda gesta e pensiero di quella Siracusa metropoli del mondo. Una pittura primitiva legata ad una realtà che muta continuamente con il mutare dell'esistenza intellettuale, in una sorta di ricerca attraverso le foglie ed i rami contorti degli alberi. Per l' artista la natura è la macchina del tempo che gli rivela la sua Sicilia prima dei secolari saccheggi, quando era un grande giardino che, guardato dalle alture rocciose, si riversava sul mare tra boschi di querce e pini mediterranei.

Fiorivano di zagara i limoni nelle distese a capofitto sul mare e la montagna accudiva le speranze che il fiore diventasse frutto, che il sole sciogliesse le nevi, che il mare non desse pesci morti. Resterà qualcosa  di allora nei nostri cuori induriti? Coglieremo ancora zagara per le nostre spose? O la terra nera di fuoco spento affonderà le radici  di alberi senza fronde e senza frutti ed i rovi sommergeranno le valli e i giardini? L'artista ha saputo modellare la natura come in un sogno rivissuto; un albero che s'innalza nel cielo della sera, o un angolo di giardino che conserva un'antica testa di coccio è l'ambiente dove si muove l'artista alla ricerca di un uccello tra le foglie, di una farfalla tra i cespugli, di un pastorello dormiente senza gregge. Il risveglio è dolce e pacato ed il suono del flauto sembra annunciare alla natura circostante l'invito alla coscienza ed alla saggezza.

Il pastore siciliano è l'unico abitante in una terra perfida e selvaggia, il gregge è scomparso al di là del dirupo, la solitudine avvolge lo spirito; e la musica del flauto si condensa nella quiete tremolante di luce, al fruscio del vento sulla cresta del bosco ed al cinguettare degli uccelli. Una composizione lirica senza eguali, dove l'uomo e la natura si completano in armonia.

Il gelsomino rampicante sull'antica balaustra di pietra bianca emerge dall'oscurità della notte al chiarore della luna ed il profumo si mescola alla fresca brezza nella notte d'estate e la mente si apre ai ricordi come un balcone sulla grande terrazza. L' oscurità  violata dal chiaro di luna avvolge le cose di una strana bellezza e spesso ne cambia le forme ed il significato, sino a renderle fantastiche o mostruose. Il buio è il grande pascolo dei sogni, dove lo spirito e le cose si muovono nella stessa dimensione, dove le ombre e gli oggetti hanno la stessa consistenza e l'emergere confuso e leggero di un albero in lontananza impaurisce  il giovane disperso nella campagna.

L' artista osserva la natura attraverso il  vetro affumicato della notte che è l' eclisse di luce nella nostra coscienza, una sorta di filtro che nasconde le impurità e le ragnatele sull'agave fiorita e protesa alla morte.

Queste visioni notturne impregnate di una profonda oscurità e intrise di ombre come fantasmi nella mente impaurita, strani cieli che si confondono appena con la linea dell'orizzonte, come se la terra in lontananza si estendesse nel cielo all'infinito; una continuazione idealizzata dove il cielo si specchia nel mare e la terra nel cielo.

E' una strana connessione dove prevale un'atmosfera surreale fatta di vegetazione lussureggiante, foglie lucenti, orchidee; una bellezza misteriosa che fa sopravvivere negli occhi il ricordo di quando fanciulli inseguivamo farfalle nei prati variopinti.

Il buio rende le masse impenetrabili e misteriose; i contorni delle cose assumono forme inverosimili e mostruose, la profondità si appiattisce e gli odori impregnano l'aria di folate inebrianti o nauseabonde; cumuli di macerie, scorie dell'umanità, cadaveri ammonticchiati dalla storia, innocenti o rei, hanno lo stesso pallore di morte.

L'uomo non è mai visibile nei quadri di Tantillo, ma si sente da vicino la sua presenza; si può quasi sentire il respiro di un giovincello che è appena passato correndo, o dietro il cespuglio due amanti che giacciono intrecciando i corpi in un groviglio di carne e trifoglio, di passione e papaveri rossi.

Un uccello poggiato su di un ramo vive l'ultimo suo attimo di vita, nascosto dietro la siepe il cacciatore l'ucciderà. Un attimo di vita che nel quadro diventa un'eternità perchè il tempo si ferma e la morte aspetta pazientemente il lento declino degli uomini e delle cose. La natura copre sempre di verde le gesta degli uomini ed il campo di battaglia, devastato e disseminato di morte, rifiorirà di margherite gialle in primavera, cancellando l'infamia con una pennellata rigeneratrice e silenziosa testimone di tante grida di paura.

La luce dell'alba si poserà lentamente su tutto e, filtrando nelle fessure, spegnerà i sogni e gli incubi nei recessi dell'anima ed il nuovo giorno ridarà una nuova carica capace di travolgere l'essere ed ispirargli sentimenti profondi e sinceri.

 

Pagina iniziale


torna a critiche.