Il piacere della visione di un artista appartato.
Dai giardini verdi della Libia ai luoghi dell’ispirazione siracusana.
 
Un lungo percorso segnato da un senso della ricerca molto personale.
 
(testo di Paolo Giansiracusa, tratto dal quotidiano "LA SICILIA" DEL 25 MAGGIO 1999)
 

 

Quando nel 1937 a Tripoli, nella famiglia siracusana dei Tantillo, nacque Armando, la Libia era il giardino più verde del mediterraneo, una regione ricca alla cui fortuna economica aveva contribuito un’intera generazione di figli d’Aretusa. Allora le navi che facevano la tratta Siracusa-Tripoli erano in gran numero e gli scambi commerciali con l’Africa avevano nella nostra Stazione Marittima il proprio punto nodale. Molti anziani ricordano ancora quegli anni come l’età dell’oro e testimoniano come i siracusani avessero fatto di Tripoli e del suo deserto un luogo florido coltivato ad aranci e limoni con distese vastissime di orti perfettamente irrigati.

Poi la guerra inasprì i rapporti con la gente d’Africa e, con grande tristezza, tutte le famiglie che avevano investito le proprie risorse e le proprie energie nel progetto economico della Tripolitania dovettero far ritorno in patria.

Così rientrarono i Tantillo come tanti altri siracusani.

Il piccolo Armando con gli occhi pieni del colore intenso del deserto stretto dell’abbraccio dei propri cari conobbe Siracusa: il luogo di luce e di colori, di segni della storia e di racconti mitologici. Da grande non dimenticò mai l’immagine dell’Africa e nemmeno il Mediterraneo azzurro dei cartaginesi più volte affiorante nei dipinti degli anni Ottanta.

Da ragazzo manifestò interesse per la pittura e  la famiglia, seguendone l’inclinazione, lo orientò verso gli studi artistici, prima a Siracusa, poi  a Catania all’Istituto d’Arte di via Crociferi.

Ortigia e l’Africa lontana, il Mediterraneo e i luoghi della mitologia, già da ragazzo riempivano gli spazi del disegno e della pittura.

Meno che ventenne partecipò alla prime collettive, privilegiando le manifestazioni di grafica e aderendo, con il rigore che lo caratterizzava, a quelle iniziative d’arte e di cultura che avessero per obiettivo la proiezione in campo nazionale e internazionale dei giovani artisti siciliani.

A Catania entrò subito nel sodalizio culturale dei gemelli Nino  e Tano Brancato e conobbe, studenti anch’essi, lo sciclitano Piero Guccione  e il siracusano Paolo Scirpa. Furono anni di sogno ed avventura con esempi artistici di altissimo livello.

Suoi maestri furono infatti il pittore di Misterbianco Pippo Giuffrida e l’incisore di Bronte Nunzio Sciavarello, artista raffinato educato negli ambienti nella Scuola Romana. Alla sua formazione contribuì anche l’artista più geniale di quegli anni, lo scultore Mimmo Maria Lazzaro, allora direttore dell’Istituto d’Arte etneo.

L’energia del colore di Giuffrida, il segno libero di Sciavarello e la plasticità di Lazzaro diventarono gli elementi linguistici fondamentali per l’espressione artistica del giovane Armando Tantillo. Dal padre decoratore tardo-liberty, col quale aveva più volte collaborato, aveva invece ereditato l’armonia, la serenità e il senso del sacrificio, la passione per il lavoro e l’amore per la famiglia.

A Siracusa, dove fece ritorno dopo gli studi catanesi, si dedicò all’insegnamento dell’Educazione Artistica e divenne una delle figure emergenti nel settore delle arti visive.

Con Giovanni Migliara, Nuccio Italia, Angelo Cortese, Angelo Cassia e Jano Lauretta, progettò iniziative culturali e momenti espositivi con l’obiettivo di aggiornare il linguaggio della pittura e della scultura in Sicilia.

Negli anni Settanta e Ottanta, al suo nome sono legate le più importanti e qualificate iniziative nel campo della grafica e della pittura. Prima con il “Gruppo Jonico” poi con la galleria “La Vite” e il “Quadrifoglio”, ha portato nella Sicilia Orientale quella ventata di cultura artistica europea di cui ancora oggi si vedono gli effetti positivi. Contrario al minimalismo e al poverismo, avversario leale delle trovate anticonformiste, convinto oppositore degli improvvisatori, veniva apprezzato dai sodalizi e dalle istituzioni culturali della città per il rigore del suo operato e per la serenità dei giudizi.

Fautore del post-espressionismo, sensibile ai temi della pittura colta, riportò in Sicilia negli anni del manierismo pop, il piacere della visione, il gusto per il colore, la passione per l’uso dei pennelli e della tela tradizionale. Con grande saggezza rimetteva il futuro dell’arte nella conoscenza del mestiere e nell’amore per l’umanità nuova.

La sua pittura è stata come un volo leggero di aria e di luce, come un sogno di colore tra giardini fioriti e onde azzurre. Nelle sue siepi, tra ninfe rapite e aironi cinerini, c’è il suo messaggio di serenità e di armonia.

Quando la mattina ci incontravamo per una chiacchierata e un caffè, mi diceva sempre che la società in crisi non andava vestita con il colore del lutto o con il fango dell’impudicizia. Per il giorno che sorge l’orizzonte non deve essere cupo e tempestoso: il sogno dell’arte deve contribuire a migliorare il divenire.

Per tale ragione aborriva i “peti in scatola”, o i “vomiti d’arte” e auspicava che le arti visive potessero concretamente contribuire alla soluzione di importanti questioni sociali.

 

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